mercoledì 29 ottobre 2008

Se non ora quando?

Appello per una Commissione d’inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia nel territorio milanese

A Milano la mafia esiste. I fatti dimostrano che nella “capitale finanziaria” la corruzione persiste in modo invasivo. Vincenzo Macrì, componente della Direzione Nazionale Antimafia, assicura che “Milano è la vera capitale della “ndrangheta”. Si parla anche di mafia, camorra, sacra corona unita. A testimoniarlo sono fatti giuridicamente sottoposti a procedimenti penali ancora in corso. Politica ed economia intessono relazioni pericolose con esponenti delle cosche.

Diversi sono stati gli omicidi di stampo mafioso commessi negli ultimi mesi, ricordiamo per ultimo Cataldo Aloisio, 34 anni, freddato nel Nord Ovest di Milano da un colpo di pistola alla nuca.

Come spiega Gianni Barbacetto, un potere non più occulto si è insediato nella città e come una idra multitentacolare tende a pervaderne il tessuto sociale, economico e politico.

L’emergenza in città viene indirizzata verso i Rom, oppure verso i furti e le rapine che sono in netto calo negli ultimi anni: il resto non sussiste. Non si comprende che spesso la microcriminalità esiste perché esiste la macrocriminalità delle organizzazioni mafiose.

La mafia a Milano, come scrive nel suo libro Giampiero Rossi, permane ormai da tempo in diversi settori: dai piccoli spacciatori sulla strada ai consulenti finanziari, ai commercialisti, ai direttori di banca negli uffici “ovattati” del centro cittadino, capitale del “business”.

La macrocriminalità ricicla il denaro che gli viene fornito da una certa finanza bancaria e di borsa che, pur non essendo organica alla “cosca”, rimane complice di un sistema di corruzione e di inquinamento della libera concorrenza.

La mafia è un problema culturale, asserisce Giovanni Impastato, fratello di Peppino. E anche nel Nord la cultura dominante è quella dell’illegalità.

Occorre creare una Commissione di controllo sugli appalti dell’EXPO, una commissione speciale d’inchiesta sugli interessi mafiosi attivi nel territorio cittadino: la proposta giace in Consiglio Comunale, nonostante l’apprezzamento trasversale che ha ottenuto.

La società civile, l’associazionismo per la legalità, Don Gino Rigoldi, Libera, intellettuali e uomini di cultura hanno più volte avanzato la proposta, anche precedentemente all’assegnazione dell’EXPO a Milano. Ma l’amministrazione è sempre apparsa sorda di fronte a una richiesta corale di fare fronte all’emergenza dell’ illegalità mafiosa, corrosiva della convivenza civile e sociale della nostra città.

Occorre subito attivare ogni forma utile a riportare a Milano la cultura della legalità, che è cultura di democrazia, giustizia sociale ed eguaglianza.

Ti chiediamo di aderire a questo appello che alcune cittadine e cittadini indirizzano all’Amministrazione Comunale affinché si chieda subito e si approvi una Commissione d’Inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia a Milano, coerentemente con quanto sostenuto da più relatori nell’incontro in memoria di Peppino Impastato, tenutosi proprio a Palazzo Marino il 16 settembre 08.

Invia la tua adesione all’indirizzo listafoappello@gmail.com …………………………………scrivendo:

aderisco all’appello “ Se non ora quando? Appello per una Commissione d’inchiesta sul fenomeno della corruzione e della mafia nel territorio milanese da inviare all’Amministrazione Comunale di Milano”.

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sabato 18 ottobre 2008

Incontro con Giulietto Chiesa - Venerdì 17 ottobre 2008 ore 21,00

COMUNICATO STAMPA

Dell’Associazione “Il Faro” di Canegrate

COSTRUIAMO INSIEME UN FUTURO MIGLIORE



In molti siamo seriamente preoccupati per quanto sta accadendo nel mondo e nel nostro paese.

La crisi senza freni della finanza mondiale, che trova confronti solo con quella storica del 1929, metterà probabilmente in ginocchio l’economia reale dei prossimi anni.

Il collasso dell’ecosistema globale è un rischio sempre più concreto e vicino.

Venti di guerra spazzano il pianeta, sostenuti da colossali interessi economici e ideologie distorte, e contrastati da politiche di pace sempre più deboli.

Per quanto riguarda il nostro paese, esso pare aver imboccato la via di un grave declino culturale, sociale, economico e politico.

Le organizzazioni criminali di stampo mafioso si sono ormai impadronite di fette consistenti della nostra economia, e i loro intrecci con gli ambienti politici e finanziari sono sempre più tentacolari.

La libertà di informazione è seriamente compromessa da conflitti d’interessi e dal pesante condizionamento delle forze politiche.

L’indipendenza della magistratura, uno dei capisaldi di ogni democrazia liberale, è fortemente minacciata.

Le ondate di immigrazione, accanto a sincere manifestazioni di solidarietà, stanno facendo emergere i sentimenti peggiori della popolazione italiana, dalla paura al rifiuto fino a sentimenti di aperto razzismo.

Stanno inoltre emergendo profonde contraddizioni economiche, che vedono allargarsi sempre più la forbice tra un élite di privilegiati e il resto della popolazione, che scivola più o meno lentamente verso la povertà.

Di fronte a questa situazione la politica, cioè il luogo in cui dovrebbero essere elaborate le risposte a questi problemi, mostra un panorama desolante. Penso che oggi molti cittadini del nostro paese accomunati da sinceri sentimenti democratici e da importanti valori di fondo non si sentano adeguatamente rappresentati da alcuna delle forze politiche in campo.

L'associazione culturale "Il Faro", già nel maggio scorso aveva sollecitato l’attenzione dei cittadini del legnanese sulla necessità di colmare questo “vuoto” politico, con un incontro pubblico intitolato “Il partito che non c’è”, cui hanno partecipato Elio Veltri, Vittorio Agnoletto, Basilio Rizzo.

Pochi giorni fa Paolo Flores D’Arcais dalle autorevoli pagine di Micromega ha lanciato un grande forum politico (“Un’altra Italia, un’altra opposizione”) in cui chiama all’appello le forze di “resistenza democratica” per la presentazione di una lista civica nazionale alle prossime elezioni europee.

Il “Faro” ritiene questa proposta e la discussione che ne è seguita di grande importanza per il futuro del Paese.

Per questo ha organizzato per venerdì 17 ottobre alle 21,00, presso il Circolo Fratellanza e Pace di via San Bernardino,12 a Legnano, un incontro pubblico con Giulietto Chiesa, giornalista ed europarlamentare, proprio su queste tematiche.

Tutti i cittadini, le associazioni e i giornalisti del legnanese sono invitati.



Andrea Rapetti

Presidente dell’associazione “Il Faro”




Clicca sulla locandina per ingrandirla

Lettera del presidente del "Faro" al direttore di Micromega Paolo Flores D'Arcais

Caro direttore,

ho letto con estremo piacere il Suo editoriale, che apre un dibattito fondamentale in questo momento per la vita democratica del nostro paese.

A Milano (come nel resto del paese) esistono molte realtà (associazioni, movimenti, meetup...) che, pur nelle loro diverse specificità, sono accomunate dall'urgenza che molti cittadini avvertono di "fare qualcosa" per contrastare i molti problemi che già assillano il nostro Paese o che vediamo profilarsi in un prossimo futuro (crisi economica, impoverimento generale, emergenza climatica e ambientale, rischi di conflitti, dilagare dell'illegalità di stampo mafioso...).

Tutte queste realtà cercano in qualche modo di colmare un grande vuoto che avvertiamo nella sfera politica, vale a dire nella dimensione che dovrebbe dare risposte a questi problemi e che invece sentiamo come sempre più distante dai cittadini, sempre più autoreferenziale quando non addirittura complice e diretta responsabile.



Questa grande ricchezza di esperienze, competenze, intelligenze ed energie costituisce un arcipelago di piccole isole, che se sapessero riunirsi in un grande continente, potrebbero forse costituire la vera novità, la sola in grado di rendere possibile una svolta per il nostro Paese.



Negli scorsi mesi a Milano si sono svolti alcuni incontri promossi dall’associazione culturale “Il Faro”, in cui è stata lanciata l’idea di costruire una proposta politica del tutto nuova, che guardi al futuro e non al passato, costruita attraverso la collaborazione di tutti quei soggetti (singoli cittadini, associazioni, movimenti, liste civiche) che vorranno parteciparvi. Questa proposta è in totale sintonia con quella da Lei lanciata, che condividiamo in pieno, così come condividiamo però anche le preoccupazioni da più parti evidenziate sulle difficoltà dell’impresa.



Agli incontri di cui sopra erano presenti alcuni rappresentanti o esponenti delle seguenti realtà associative:

A.T.D.A.L. ((Ass. per la Tutela dei Diritti Acquisiti dei Lavoratori)

Associazione culturale “Il Faro”

Rete Lilliput

Lista civica nazionale per il Bene Comune

Lista civica “Uniti con Dario Fo per Milano”

Meetup “Fiato sul collo” e “Grilli altoparlanti di Milano”

Associazione Megachip

Punto Rosso di Milano

Partito Umanista

Sito internet “Un altro ‘68”

Associazione “Vivi e Progetta un’altra Milano”



Da questi incontri è emerso un generale interesse per il progetto, ma anche molte riserve e perplessità.



Abbiamo individuato quelli che a nostro avviso dovrebbero essere i punti qualificanti di una nuova forza politica della società civile:

1) lotta all’impoverimento diffuso (affrontando il problema dei salari e delle pensioni, degli alloggi, dei ticket sanitari, delle spese scolastiche);

2) tutela dei lavoratori (occorre ridare SPERANZA ai lavoratori e alle nuove generazioni; problema del precariato, dell’impoverimento generale, della sicurezza nei posti di lavoro);

3) partecipazione dei cittadini alla vita della democrazia (legge elettorale che restituisca potere di scelta al cittadino e il diritto di tribuna; riforma del sistema dei partiti, per il ripristino di un corretto rapporto tra elettori ed eletti; codice etico per la politica; federalismo solidale);

4) ambiente – energia - territorio – infrastrutture (l’emergenza ambientale si impone come priorità assoluta; occorre costruire un ambientalismo rinnovato che coniughi la salvaguardia dell’ambiente con la modernizzazione del paese; difesa dell’acqua come bene comune, sviluppo delle fonti rinnovabili di energia, risparmio energetico, ripensamento del sistema dei trasporti nel nostro paese, una politica eco-compatibile per lo smaltimento differenziato dei rifiuti);

5) legalità e sicurezza (schierarsi dalla parte dei cittadini onesti; lotta alla criminalità organizzata, legge sul conflitto di interessi, lotta alla corruzione, certezza della pena per i malfattori);

6) una politica di pace, disarmo e non violenza (avendo come punti di riferimento il pensiero di Gandhi e dell’ultimo Terzani);

7) informazione e comunicazione (riforma del sistema della comunicazione per garantire pluralismo e democrazia dell'informazione e nuove forme di partecipazione dei cittadini ai processi di formazione dell'opinione pubblica e di diffusione dei contenuti socialmente rilevanti; legge sui conflitti d’interessi);

8) difesa dei principi costituzionali;

9) difesa dei diritti all’educazione e alla salute del cittadino, attraverso un rilancio della scuola e della sanità pubblica.



Pur convinti della bontà del tentativo, siamo però consapevoli di quanti ostacoli si trovino sul suo cammino. Oltre a quelli già indicati da altri interventi (lo stato dell’informazione in Italia, le contromisure della “casta” anche in termini di riforme del sistema elettorale, l’ingombrante presenza di un personaggio discusso e discutibile come Antonio Di Pietro), penso che la difficoltà più grande sia quella accennata in una sola riga del Suo editoriale: il rischio che l’iniziativa sia “immiserita da personalismi e diatribe di bottega”.

Se alle prossime elezioni, oltre ai partiti tradizionali, si presentassero in ordine sparso: l’autorevole Lista civica promossa da MICROMEGA, il “partito” di Beppe Grillo, gli Umanisti, la Lista per il Bene Comune (che pare intenzionata a procedere per conto suo, forte della “strepitoso” risultato raggiunto alle ultime elezioni)…. beh, credo proprio che sarebbe un disastro totale.

I poteri e gli interessi che abbiamo di fronte sono colossali; solo con il concorso di TUTTI coloro che hanno ancora a cuore le sorti del nostro paese possiamo sperare di far qualcosa.

Sottoscrivo pienamente gli utili consigli dati nel finale della sua lettera da Lidia Ravera, che nonostante le sue dichiarazioni mi pare molto meno confusa di tanti altri.



Con cordialità e stima

Andrea Rapetti

Associazione culturale “Il Faro” http://www.associazioneilfaro.blogspot.com/

AGNOLETTO: «Israele ha sequestrato a Gaza un pacifista italiano. LO STATO ITALIANO E L'UE SI MOBILITINO PER LIBERARLO. PRESENTERÒ UN'INTERROGAZIONE

Comunicato stampa di Vittorio Agnoletto

AGNOLETTO: «Israele ha sequestrato a Gaza un pacifista italiano.

LO STATO ITALIANO E L'UE SI MOBILITINO PER LIBERARLO.

PRESENTERÒ UN'INTERROGAZIONE AL PARLAMENTO EUROPEO».

Milano, 21 novembre 2008 – «Un pacifista italiano, Vittorio Arrigoni, è stato arrestato martedì scorso dalla marina militare israeliana mentre si trovava a sette miglia dalla costa, al largo della Striscia di Gaza, su un peschereccuio insieme a una quindicina di pescatori palestinesi.

Arrigoni aveva deciso, insieme ad altri due attivisti internazionali per i diritti umani, uno scozzese e uno statunitense, di accompagnare i palestinesi mentre si procuravano il cibo. La marina israeliana ha requisito il peschereggio e arrestato tutti i presenti nonostante stessero pescando in un'area di mare nella quale gli accordi internazionali riconoscono il diritto alla pesca per i palestinesi.

Detenuto senza aver commesso alcun reato, è stato fermato per essere espulso dal governo israeliano in quanto "persona non gradita"; attualmente si trova in carcere a Ramla a circa 30 chilometri da Tel Aviv.

L'Italia si attivi subito per la liberazione di un suo cittadino detenuto illegalmente da un altro Paese – dichiara Vittorio Agnoletto, eurodeputato di Rifondazione comunista/Sinistra europea, che questa mattina ha contattato telefonicamente il pacifista italiano - .

Vittorio Arrigoni mi ha comunicato che da stamane ha iniziato uno sciopero della fame.

Inconcepibile che una persona venga sequestrata dalle autorità di uno Stato, in attesa di un'espulsione immotivata, visto che Arrigoni non ha nemmeno mai messo piede in Israele: infatti è arrivato direttamente a Gaza a settembre, con una nave di pacifisti. Il governo italiano non può tacere di fronte a quanto accaduto nelle acque palestinesi.

Oggi presenterò un'interrogazione parlamentare alla Commissione europea, affinchè chieda a Israele di rispettare le convenzioni internazionali, e in particolare gli accordi di Oslo sul conflitto arabo-israeliano, che sanciscono l'autogoverno palestinese nell'area di Gaza e la possibilità dei pescatori palestinesi di pescare in un'area di mare fino a 20 miglia dalla costa oltre che il transito sicuro delle persone in quell'area.

Israele gode con l'Europa di un rapporto di partnership particolare: non può calpestare in questo modo i diritti di un cittadino europeo, senza che le istituzioni europee muovano un dito».

Nuovo film di Deaglio sul G8 di Genova - mercoledì 10 dicembre

Dopo la vergognosa sentenza assolutoria per il massacro della Diaz, in
occasione della giornata mondiale per i diritti umani,

Genova G8 2001
Fare un golpe e farla franca
Presentazione del nuovo film sul G8 di Enrico Deaglio, Mario Portanova
e Beppe Cremagnani.

A seguire dibattito con Vittorio Agnoletto, Haidi Guliani, Lorenzo
Guadagnucci e gli autori del film
Presenta Antonio Lareno.

Milano, mercoledì 10 dicembre, ore 20.30
Camera del Lavoro, Corso di Porta Vittoria 43

Organizzano
Associazione Culturale Punto Rosso e Lavoro Società - Area
programmatica Cgil Milano.

Info: 02875045 ? info@puntorosso.it - www.puntorosso.it

***

Ecco una breve presentazione del lavoro, l'inchiesta filmata più
documentata sui fatti di Genova e sulle sue ripercussioni nella
politica attuale.Per spiegare la catena di comando che guidò
l'irruzione alla scuola Diaz, i pubblici ministeri Francesco Albini
Cardona e Enrico Zucca hanno fatto riferimento a una sentenza con cui
la Cassazione ha condannato ufficiali nazisti e alcuni soldati
responsabili dell'eccidio di Sant'Anna di Stazzena.
Massimo D'Alema definì l'irruzione alla Diaz un episodio da "notte
cilena", mentre Michelangelo Fournier, uno dei capisquadra che
parteciparono all'azione, usò le parole "macelleria messicana". Di
fatto 92 giovani provenienti da ogni angolo del mondo furono
massacrati senza pietà e senza nessun motivo e questo atto scatenò
l'indignazione dell'opinione pubblica mondiale e le proteste delle
cancellerie di tutta Europa.
L'assalto alla Diaz è solo uno degli episodi di violenza poliziesca
accaduti nei giorni del G8 e delle proteste del Social Forum. Durante
un'intervista in esclusiva per il documentario, Fausto Bertinotti
sostiene che in quei giorni la democrazia fu sospesa. La magistratura,
che ha tentato di far luce su quanto accadde in quelle giornate, si è
trovata di fronte a un muro di omertà e depistaggi da parte delle
forze dell'ordine e degli esponenti politici, "degni", come disse
durante la requisitoria il pm Zucca, "di un vero e proprio sistema
mafioso". Chi concepì e comandò gli attacchi ai manifestanti? Solo i
vertici della polizia o anche gli uomini di governo presenti in quei
giorni a Genova ebbero un ruolo di primo piano nella catena di comando?
Su questa traccia si muove l'inchiesta curata da Beppe Cremagnani e
Enrico Deaglio con Mario Portanova in un documentario della durata di
circa 60 minuti. Per la prima volta parlano protagonisti di quei
giorni, l'allora ministro degli Interni Claudio Scajola, l'ex
segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, l'on. Furio
Colombo, allora direttore dell'Unità, l'on. Filippo Ascierto,
capogruppo di An in commissione difesa della Camera.
E' la ricostruzione definitiva dei fatti di Genova, ottenuta
attraverso i risultati dell'inchiesta giudiziaria, del lavoro
giornalistico della redazione, le interviste esclusive e gli incontri
riservati che hanno avuto luogo durante il periodo di preparazione del
documentario. Gli avvenimenti e i retroscena di quei giorni vengono
rivisti sotto una nuova luce e questo ci aiuta a capire che Genova non
fu un episodio isolato, un'esplosione di violenza poliziesca casuale,
ma che è profondamente in relazione con ciò che sta accadendo
nell'Italia di oggi.

Per la prima volta, in questo film parlano le persone che ebbero
responsabilità istituzionale negli eventi e la "catena di comando"
incomincia a essere ricostruita. Il clima dell'epoca, le
responsabilità di governo, il vuoto e gli alibi che si crearono i
responsabili stessi, il ruolo che svolse il vicepresidente del
Consiglio Fini, unico membro del governo ad essere operativo sul
posto. Quello che seppe l'opposizione politica, i tentativi falliti di
mediazione. Le testimonianze dei giornalisti e i filmati della Rai che
impedirono il silenzio.

Milano , 29/10/2008 - IL GIORNO DOPO (Michele Corsi )

http://www.retescuole.net/

Il governo ha convertito in legge il decreto 137. Lo ha fatto a gran velocità, come sta accadendo per tutti i provvedimenti che riguardano la scuola e l'università. Si è giustamente condannata quest'arroganza, ma non ci si è soffermati sul perché: perché coartare tempi, porre la fiducia, impedire dibattiti? Per disprezzo nei confronti delle Camere? Ma se dispongono di una maggioranza larghissima! La risposta mi pare semplice: discussioni parlamentari prolungate avrebbero facilitato la circolazione di informazioni tra genitori e insegnanti, e dunque avrebbe aumentato la loro capacità di reazione. Hanno sbagliato i calcoli? Direi di sì.

Il movimento, questo movimento, non cessa d'allargarsi. Non credo che i nostri governanti, ed anche l'opposizione, si rendano davvero conto di quel che sta accadendo nel Paese. E' un movimento dal basso, molecolare, incontrollato che sta prendendo forma dall'inizio di settembre, anche se della sua esistenza i media si sono accorti solo ora. Le sue molecole sono i comitati misti genitori-insegnanti delle elementari e delle scuole d'infanzia. Solo nel milanese ne sorgono di nuovi quotidianamente. Il governo dice che sono manovrati dalla sinistra. Magari, qualcuno di noi potrebbe dire. E invece è proprio la scomparsa della sinistra e di una credibile e combattiva opposizione che ha fatto comprendere a tutti che per salvare la scuola si doveva far da sé, senza delegare.

Il governo spera che, grazie alla velocità d'azione, questa massa di gente tornerà a casa. Di nuovo, si sta sbagliando. Le tappe forzate imposte da Berlusconi hanno aumentato la rabbia e l'indignazione del movimento. La frustrazione non si sta trasformando in senso d'impotenza e depressione, perché in queste settimane abbiamo sperimentato la nostra forza. Senza l'aiuto di nessuno abbiamo imposto ai media e all'intera opinione pubblica l'urgenza della scuola e dell'università.

E' una forza che deriva dalla determinazione, dalla fantasia, ma anche da un fattore molto semplice, che ha spaventato sempre, nei secoli, qualsiasi governo in carica: la forza dei numeri. Siamo tanti. E più il movimento si ramifica dalle grandi città sino ai piccoli comuni, più questi numeri diventano popolo. Ed è l'unico fattore in grado di fermare chi ci governa. Berlusconi può ignorare il movimento, ma non i sondaggi che per la prima volta lo danno in calo, e proprio grazie alla scuola. E tra un po' ci saranno le amministrative. .. La Gelmini ha dato per persi gli insegnanti, altrimenti non direbbe tali e tante castronerie, nessuno può permettersi però di dar per persi i genitori. Il popolo della scuola è una valanga di lavoratori del settore, ma anche, e ancor di più: papà, mamme, nonni, studenti...

Qualcuno in qualche stanza sta cercando di mettere in pratica le parole che per l'età Cossiga dice ora a ruota libera, dopo averle nascoste per anni. Non ero molto cresciuto all'epoca, ma ricordo quando l'allora ministro degli interni chiedeva l'unità nazionale perché gli "studenti criminali" devastavano l'Italia. L'abbiamo sempre sospettato, ma ora lo dice lui: era tattica, e un bel po' di vetrine le hanno spaccate i suoi agenti. Davvero pensiamo che non ritenteranno lo stesso gioco? Di imbecilli di parte nostra disposti a giocare il suo gioco francamente ne vedo pochini. Vedo anzi molta ingenuità. Come quegli studenti che a Roma immaginavano che fosse davvero possibile manifestare insieme a quelli di estrema destra. Dobbiamo ancora e soltanto contare sul numero. E allargarlo, perché il movimento non ha raggiunto il massimo delle sue potenzialità: non tutte le università si sono mosse, gli insegnanti delle superiori e delle medie sono fermi, tanti comuni piccoli e medie città devono essere raggiunte, le assemblee informative coi genitori le dobbiamo ancora organizzare in tanti posti... Siamo milioni, perché questi sono i numeri della scuola e dell'università pubblica, e dobbiamo porci nelle condizioni di "essere" quei milioni.

Alcuni immaginano che ora si torni a casa. E qui forse è mancato uno sforzo di comunicazione da parte del movimento. Occorre dunque ribadire alcuni concetti. Quella che è stata approvata è una legge che è solo un pezzetto di tutti gli adeguamenti legislativi che dovranno essere votati per far passare i tagli, tagli che sono stati votati il 6 agosto con l'art.64 della legge n.133. Devono ancora uscire le leggi che riguardano medie, superiori, università e scuole d'infanzia, devono ancora uscire i loro regolamenti attuativi, come del resto anche le misure previste dalla 137 prevedono altri passaggi prima di essere applicate. Del resto i tagli saranno spalmati su tre lunghi anni. Gli otto miliardi di tagli alla scuola troveranno piena sistemazione nella legge finanziaria, che deve essere ancora votata. Abbiamo davanti molti mesi di resistenza nelle scuole e nelle università. Sarà dura? Sì certo, ma vediamola anche dal loro punto di vista: una mobilitazione che non cessa e che arriverà sino al momento delle iscrizioni, e poi della formazione degli organici, contestando punto per punto, anno dopo anno... Non è la prima volta che una legge è approvata e i suoi contenuti non applicati. Ne sa qualcosa Fioroni, che pure lui avrebbe voluto tanto tagliare... (sì, meno della Gelmini, ma la differenza tra loro, dunque, è di quantità?). Occorre però attrezzarsi a questa lotta: consolidando le strutture di movimento, mettendole in collegamento tra loro, praticando l'unità dal basso, inventando forme di lotta prolungate e sostenibili. ..

Sento molto parlare in queste ore di referendum. E' un errore. Significa mettere in piedi una macchina che assorbe una quantità enorme di energie per esiti per di più incerti, e in un momento in cui la lotta è appena cominciata. Se ne potrà parlare, certo, ma non prima di aver percorso sino in fondo ogni possiblità di mobiltazione nelle scuole, nelle università, nelle strade. Nel frattempo le forze dell'opposizione istituzionale potrebbero fare una cosa molto carina: adeguare i loro programmi e le loro proposte. Il PD è ancora dell'idea di tagliare alla scuola pubblica non 8 ma 6 miliardi, per esempio? La proposta di referendum però ci mostra che almeno un passetto l'hanno fatto: la richiesta del ritiro della 137, perché fino ad una settimana fa non erano su questa linea. Bene, ora ne chiediamo un altro di passetto: la richiesta di abrogare gli articoli della 133 che riguardano scuola e università. Sì, perché anche se si facesse il referendum sulla 137, rimarrebbe la 133, ovvero i tagli. E il dibattito sarebbe: i tagli ci sono, nelle elementari non li attuiamo, e allora chi facciamo fuori?

Lo sciopero del 30 mostra chiaramente la strada da seguire. Certo, di scioperi non ne potremo far tanti, ma sappiamo essere creativi nel trovare nuove forme di lotta. E' uno sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali maggioritarie, ma di cui tutto il movimento si è impossessato. Sarà uno sciopero con manifestazioni dall'ampiezza senza precedenti. Berlusconi sperava, approvando il giorno prima il decreto, di demotivare rispetto alla partecipazione. Il successo di questa giornata speriamo gli mostri senza ombra di dubbio che continua a sbagliare valutazione: siamo solo all'inizio.

La contemporaneità della crisi economica e dei tagli a scuola e università costituisce una sorta di metafora. I governi di tutto il mondo, dopo averci per vent'anni catechizzato sulle virtù del mercato lasciato libero dall'intervento statale, i soldi (statali) per le banche li hanno trovati subito. E, nello stesso identico momento, tolgono soldi all'istruzione, in Italia, ma anche in Francia: i soldi, che poi sono i nostri soldi, scorrono e vanno da qua a là, dalle nostre aule ai loro conti. La manifestazione autorganizzata del milanese il 30 sarà aperta da uno striscione retto simbolicamente da tutti i soggetti sociali coinvolti nella lotta: maestre, universitari, medi. C'è scritto: "scuola e università non pagheranno la vostra crisi".

Tremonti, benefattore delle banche, Gelmini, ladra di scuola: decidiamo noi quando la partita è chiusa.

Michele Corsi, Retescuole

Milioni di licenziamenti imminenti in Italia e ...



Dal maestro unico ai precari: le leggi al centro della protesta


Dal sito de "la Repubblica" - SCUOLA & GIOVANI

di SALVO INTRAVAIA






Il maestro unico. Il ripristino del maestro unico nella scuola primaria sin dal prossimo anno scolastico è uno dei temi che mette d'accordo insegnanti, genitori e buona parte dei pedagogisti. Il team (tre insegnanti che operano su due classi) ha portato la scuola elementare italiana ai primi posti nelle classifiche internazionali. Il nostalgico ritorno al maestro unico, spiegano i sindacati, è dettato soltanto da "necessità di cassa" e accorcerà il tempo scuola a 24 ore settimanali: 4 ore e mezzo al giorno (il testo della legge)

I tagli agli organici della scuola. I pessimisti parlano di smantellamento della scuola pubblica italiana, il governo parla di tagli per eliminare gli sprechi. Sta di fatto che la Finanziaria estiva prevede una autentica cura da cavallo per il personale della scuola. Una serie di "operazioni", come quella del maestro unico o la riduzione delle ore di lezione alla media e al superiore, consentiranno all'esecutivo di tagliare 87 mila e 400 cattedre e 44 mila e 500 posti di personale Ata: amministrativo, tecnico e ausiliario. Saranno i 240 mila docenti precari delle graduatorie provinciali a pagare il salatissimo prezzo della "razionalizzazione" delle risorse e gli 80 mila Ata che ogni anno consentono alle scuole di funzionare (il testo della legge)

Le classi per gli alunni stranieri. La creazione di classi differenziate per gli alunni stranieri, "rei" di rallentare i processi di apprendimento degli alunni nostrani, non era messa in conto. Ma da quando la Lega ha preteso e ottenuto l'approvazione di una mozione che istituisce di fatto le classi "per soli stranieri" la questione si aggiunge al lungo elenco di motivazioni che portano il mondo della scuola a protestare (il testo della mozione)

La chiusura delle scuole. Per rastrellare alcune centinaia di posti di dirigente scolastico e, bidello e personale di segreteria il ministro Gelmini ha imposto alle regioni, che si sono ribellate, di mettere mano ai Piani di dimensionamento delle rete scolastica. Secondo i calcoli effettuati dai tecnici di viale Trastevere, una consistente fetta delle 10.766 istituzioni scolastiche articolate in quasi 42 mila plessi scolastici va tagliata. Così circa 2.600 istituzioni scolastiche autonome rischiano di essere smembrate e accorpate ad altri istituti. Ma quello che preoccupa maggiormente gli amministratori locali è che il ministero vorrebbe cancellare dalla mappa scolastica del Paese circa 4.200 plessi con meno di 50 alunni.

Il contratto dei prof. Non è uno dei punti più indagati dai media ma i sindacati ricordano al governo che maestri e prof hanno il contratto scaduto da 10 mesi. E in tempi di tempeste finanziarie e inflazione galoppante la questione appare di un certo rilievo.

Il provvedimento "ammazza precari" degli enti di ricerca. Il tourbillon tocca anche le università e gli enti di ricerca dove la protesta ha già dato luogo ad occupazioni e manifestazioni che vedono gomito a gomito studenti e professori, a partire dalla legge 133 sui precari (il testo).
In base a un disegno di legge, già approvato dalla Camera, che contiene una norma sulla stabilizzazione dei precari, 60 mila cervelli nostrani che fino ad oggi hanno lavorato presso università ed enti di ricerca rischiano di vedere andare in fumo i loro sogni. Se gli enti da cui dipendono non riusciranno a stabilizzarli entro il 30 giugno 2009 dovranno trovarsi un'altra sistemazione: magari all'estero (il testo del provvedimento)

La privatizzazione delle università. La coppia Tremonti-Gelmini, secondo studenti e mondo accademico, ha messo al collo degli atenei un autentico nodo scorsoio che li metterà nelle mani dei privati. Il decreto-legge 112 prevede la riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo di finanziamento ordinario e un taglio del 46 per cento sulle spese di funzionamento. Un combinato che farà mancare l'ossigeno agli atenei e li costringerà, anche attraverso la trasformazione in Fondazioni, a cercare capitali privati.

Il turn over "col contagocce". Ogni cinque professori universitari che andranno nei prossimi anni in pensione gli atenei potranno assumere un solo ricercatore. Quella di entrare stabilmente nel mondo universitario, per migliaia di precari già in forze presso gli atenei, diventa un autentico miraggio. Per questo gli studenti dell'Unione degli universitari hanno coniato lo slogan "sorridi ... se ci riesci".
(17 ottobre 2008)


"Vita, terra, libertà per il popolo palestinese" / 29.11.2008 - Roma


"Vita, terra, libertà per il popolo palestinese"

Manifestazione Nazionale
Roma 29 Novembre 2008

Nè muri Nè silenzi

Pace giustizia e libertà in Palestina

Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 29 Novembre "Giornata di solidarietà internazionale con il popolo palestinese". Invitiamo tutt* ad unirsi alla manifestazione nazionale di Roma insieme al Coordinamento delle comunità palestinesi in Italia e all'UDAP (Unione Democratica Arabo Palestinese).

Il popolo palestinese dopo 60 anni di espropri, vessazioni e violenze, ha visto negli anni della seconda Intifada ridurre progressivamente il suo spazio di rappresentanza e prospettiva politica nei Territori Occupati, in Israele e nel resto del mondo. Le esecuzioni mirate e gli arresti arbitrari del governo israeliano hanno decapitato la leadership delle forze politiche palestinesi, il resto lo ha fatto la comunità internazionale delegittimando i principali dirigenti politici palestinesi di ogni ispirazione, cominciando da quelli laici e pragmatici.

Intanto la frammentazione del territorio determinata dalla costruzione del muro e dalla crescita indiscriminata delle colonie, e le sempre maggiori difficoltà di circolazione per merci e persone all'interno dei territori occupati, hanno messo in ginocchio l'economia palestinese.

Quello palestinese è un popolo tenace e coraggioso che ha le stesse necessità di ogni altro popolo; necessità materiali: lavoro, istruzione, sanità accesso ai mercati e ai beni primari e necessità ideali: bisogno di progettare il futuro, diritto di scegliere liberamente i propri rappresentanti politici, diritto all'autodeterminazione. E' un popolo che ha dimostrato più volte di sapere accettare compromessi anche dolorosi e di saper fare scelte pragmatiche: le reiterate offerte di tregua da parte di Hamas, l'iniziativa di pace della Lega Araba, gli accordi della Mecca, e la riflessione sullo stato unico avviata in larga parte della società palestinese testimoniano una volontà di superare l'esistente. Una volontà che è stata sistematicamente ignorata dal governo israeliano e da gran parte della comunità internazionale, producendo nel popolo palestinese una sensazione di accerchiamento e di impotenza i cui risultati vediamo oggi.

La popolazione civile, schiacciata tra l'occupazione militare israeliana e lo scontro armato tra le opposte fazioni, si è trovata come sempre a pagare il prezzo più alto, in termini di perdita di vite umane e di peggioramento delle condizioni economiche.

L'occupazione israeliana della Palestina è scintilla che accende tutti i conflitti in Medioriente, è lievito che da anni fa crescere lo scontro con la civiltà arabo-musulmana, è strumento nelle mani di molti governi e poteri dell'area che la usano per perseguire i propri fini.

La pace va cercata nella giustizia, nel diritto internazionale e nella verità, non in una normalizzazione che mette a tacere le legittime aspirazioni di libertà e di dignità del popolo palestinese.

L'assedio israeliano alla Striscia di Gaza, e l'irresponsabile embargo della comunità internazionale al governo di Hamas hanno dato il colpo di grazia ad un'economia già traballante, e impediscono a 1.500.000 di persone, di cui il 51% bambini e adolescenti, di avere libero accesso ai servizi di base quali sanità, educazione, rifornimenti energetici. L'assedio di Gaza costituisce una grave violazione dei diritti umani, e ha prodotto una crisi umanitaria denunciata più volte anche dalle Nazioni Unite.

Chiediamo agli uomini e alle donne di ogni età, ai compagn* dei partiti, dei sindacati, delle associazioni e dei movimenti, che in questi anni sono stati al nostro fianco nella ricerca di una pace giusta in Palestina/Israele di unirsi a noi nella denuncia dell'assedio di Gaza.

Chiediamo che le Nazioni Unite si impegnino a far rispettare le tutte le risoluzioni ignorate o violate dallo Stato di Israele, e continuiamo a chiedere al Governo Italiano, e all'Unione Europea quello che chiediamo da anni:

- la fine dell'occupazione israeliana della Palestina

- uno stato palestinese sovrano con Gerusalemme Est capitale

- il diritto al ritorno per i rifugiati palestinesi, come previsto dalla risoluzione Onu 184

- la liberazione di tutti i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane

- lo smantellamento del regime di apartheid determinato dal Muro e dalle colonie israeliane

- la fine dell'assedio imposto alla Striscia di Gaza

- la revoca degli accordi di cooperazione militare Italia – Israele e il ritiro delle truppe dai vari teatri di guerra.

Appuntamento alle 15 in Piazza della Repubblica (fronte chiesa S. Maria degli Angeli) dietro lo striscione "stop all'assedio di Gaza"

Per adesioni:

assopace.nazionale@assopace.org

Prime adesioni:

Associazione per la Pace

Un ponte per…

Aktivamente

Gruppo di sostegno alla campagna End the Siege on Gaza

Partito della Rifondazione Comunista

Giovani Comunisti/e

Campagna Ponti non Muri di Pax Christi

Salaam Ragazzi dell'Olivo – Comitato di Trieste

Servizio Civile Internazionale

Vento di Terra

Associazione giovani palestinesi Wael Zwuaiter

Donne in Nero

Rete Lilliput

U.S. Citizens for Peace & Justice

A teatro col Brutto Anatroccolo - "Le Donne di Brecht" / 29.11.2008 - Legnano


"Le Donne di Brecht" aprono, sabato 29 Novembre, "Il
Palco di Legnano 5" la rassegna teatrale di gruppi
legnanesi e dei dintorni patrocinata dal Comune di Legnano e
promossa dall'Associazione Culturale Il Brutto Anatroccolo.
E andare a teatro, oltre a essere un'esperienza appagante e
divertente sarà anche un atto di solidarietà perché il
ricavato della vendita dei biglietti - 5 euro - verrà
devoluto in gran parte a Medici Senza Frontiere. Un dato
molto importante: negli ultimi 8 anni di attività il
Brutto Anatroccolo ha raccolto e devoluto oltre 16.000 ? a
Medici Senza Frontiere.
Il Brutto Anatroccolo è un'associazione che si occupa di
promuovere laboratori teatrali e di psicomotricità in
ambito scolastico materno ed elementare oltre che presso la
propria sede di Via Venezia (ang. Via N. Sauro) a Legnano,
attività culturali e ricreative, mostre, concerti,
spettacoli teatrali e convegni, tutte manifestazioni mirate
a coinvolgere la cittadinanza e a sensibilizzarla sul tema
della solidarietà e della sua crescita culturale, in
particolare bambini e ragazzi.
Il programma de "Il Palco di Legnano 5" parte dunque il
29 Novembre 2008, per terminare, dopo otto spettacoli,
sabato 18 aprile 2009. Tutti gli appuntamenti in cartellone
si terranno presso la Sala Teatro Gianni Rodari, in via dei
Salici a Legnano. Una rassegna che spazia tra i generi più
diversi: teatro d'impegno civile, di inchiesta, brillante,
comico, dialettale, teatro canzone, sempre con l'obiettivo
di proporre "un teatro per tutti".
A Gennaio '09 prenderà il via "Il Palco di Legnano 5
Bambini", dedicata ad un pubblico fino ai 10 anni di
età. Per ogni informazione è possibile consultare il
sito internet www.ilbruttoanatroccolo.org o telefonare al
340/8754812. In allegato il cartellone degli appuntamenti e
la scheda del primo spettacolo. Buona visione.

Umberto Silvestri
Presidente
Associazione Culturale "Il Brutto Anatroccolo"

Le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà...


La deriva dello Stato democratico: l'ex presidente della repubblica Cossiga incita le forze dell'ordine a massacrare studenti e professori


LA MARCIA DEI FOLLI

LA SCHIZOFRENIA DI ISRAELE

Prima di demonizzarlo e bombardarlo a Gaza, Hamas è stato appoggiato da Tel Aviv, per contrastare l’Olp. E con i raid di oggi, lo Stato ebraico non farà altro che rafforzare il movimento islamico.

Di Uri Avnery* Uri Avnery (in lingua ebraica: אורי אבנרי, nome originario Helmut Ostermann) (Beckum, 10 settembre 1923) è un giornalista e pacifista israeliano.

Appena dopo la mezzanotte, l'emittente araba di Al Jazeera stava trasmettendo le notizie degli eventi di Gaza. Improvvisamente la telecamera ha inquadrato in alto, verso il cielo scuro. Lo schermo era nero fondo, non si riusciva a distinguere niente. Ma c'era un suono che si poteva sentire: il rumore degli aerei da guerra, uno spaventoso, terrificante boato. Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di bambini di Gaza che stavano sentendo, nello stesso momento, quel suono, paralizzati dalla paura, in attesa delle bombe dal cielo.

"Israele deve difendersi dai razzi che stanno terrorizzando le nostre città del sud", ha spiegato il portavoce israeliano.

"I palestinesi devono rispondere alle uccisioni dei loro combattenti nella Striscia di Gaza ", ha dichiarato il portavoce di Hamas.

Per essere esatti, nessun cessate il fuoco è stato interrotto, perché nessun cessate il fuoco era mai iniziato.

Il requisito principale di ogni cessate il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l'apertura dei passaggi. Non ci può essere vita a Gaza senza un flusso costante di rifornimenti. Ma le frontiere non sono state aperte, se non poche ore ogni tanto.

Bloccare un milione e mezzo di esseri umani per via di terra, mare e aria è un atto di guerra, esattamente come il lancio delle bombe o dei razzi.

Paralizza la vita nella Striscia di Gaza: elimina gran parte delle fonti che creano occupazione, porta centinaia di migliaia al limite della morte di fame, blocca il funzionamento della maggior parte degli ospedali, distrugge la distribuzione di elettricità e d'acqua. Coloro che hanno deciso di chiudere i passaggi - sotto qualsivoglia pretesto - sapevano che non ci sarebbe stato nessun reale cessate il fuoco in queste condizioni. Questo è il fatto principale.

Poi ci sono state piccole provocazioni volte deliberatamente a suscitare la reazione di Hamas.

Dopo diversi mesi durante i quali i razzi Qassam a malapena si sono visti, un'unità dell'esercito è stata inviata nella Striscia "per distruggere un tunnel che arrivava vicino alla recinzione della frontiera". Da un punto di vista puramente strategico, avrebbe avuto più senso tendere un'imboscata sul nostro lato della frontiera.

Ma lo scopo era quello di trovare un pretesto per metter fine al cessate il fuoco, in una maniera che consentisse di addossare la colpa ai palestinesi.

E così è stato, dopo diverse piccole azioni del genere, nelle quali alcuni guerriglieri di Hamas sono stati uccisi, Hamas ha risposto con un massiccio lancio di missili, ed ecco, il cessate il fuoco è giunto alla fine.

Tutti hanno incolpato Hamas.

Qual è lo scopo?

Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: rovesciare il governo di Hamas a Gaza.

I Qassam sono serviti solo come pretesto. Rovesciare il governo di Hamas? Suona quasi come un capitolo estratto dalla "Marcia dei folli". Dopo tutto non è un segreto che fu il governo israeliano a supportare Hamas, all'inizio.

Una volta interrogai su questo l'allora capo dello Shin-Bet, Yakakov Peri, che rispose enigmaticamente:

"Non lo abbiamo creato noi, ma non abbiamo impedito la sua creazione. " Per anni le autorità d'occupazione promossero il movimento islamico nei territori occupati. Ogni altra iniziativa politica era rigorosamente soppressa, ma la loro attività nelle moschee era permessa. Il calcolo era semplice, e ingenuo: al tempo l'Olp era considerato il nemico principale, Yasser Arafat il satana.

Il movimento islamico predicava contro l'Olp e Arafat ed era perciò visto come un alleato.

Abu Mazen, un "pollo spennato"

Con l'esplodere della prima intifada nel 1987, il movimento islamico si rinominò ufficialmente Hamas (l'acronimo arabo di "movimento islamico di resistenza") e si unì alla lotta. Anche allora lo Shin-bet non mosse un dito contro di loro per quasi un anno, mentre i membri del Fatah erano imprigionati o uccisi in gran numero. Solo dopo un anno lo sceicco Ahmed Yassin e i suoi colleghi furono arrestati.

Da allora la ruota ha girato. Hamas è il satana odierno, e l'Olp è considerato da molti in Israele quasi una branca del movimento sionista.

La conclusione logica per un governo di Israele interessato alla pace sarebbe stata quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: la fine dell'occupazione, la firma di un trattato di pace, la fondazione dello stato di Palestina, il ritiro entro i confini del 1967, una soluzione ragionevole al problema dei rifugiati, il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi. Questo avrebbe sicuramente arrestato l'ascesa di Hamas. Ma la logica ha una scarsa influenza sulla politica. Niente del genere è accaduto.

Al contrario, dopo l'uccisione di Arafat, Abu Mazen, che ha preso il suo posto, è stato definito da Ariel Sharon un "pollo spennato ".

Ad Abu Mazen non è stato concesso il minimo margine di operatività politica.

I negoziati, sotto gli auspici americani, sono diventati una barzelletta. Il più autentico leader di Fatah, Marwan Barghouti, è stato mandato in carcere a vita. Al posto di un massiccio rilascio di prigionieri, ci sono stati "segnali" meschini e offensivi.

Abu Mazen è stato umiliato sistematicamente,

Fatah ha assunto l'aspetto di una conchiglia vuota,

e Hamas ha ottenuto una risonante vittoria alle elezioni palestinesi - le elezioni più democratiche mai tenute nel mondo arabo.

Israele ha boicottato il governo eletto.

Nella successiva battaglia interna, Hamas ha assunto il controllo della Striscia di Gaza.

E ora, dopo tutto ciò, il governo di Israele ha deciso di "rovesciare il governo di Hamas a Gaza".

Il nome ufficiale dell'azione bellica è "piombo fuso", due parole tratte da una canzone infantile su un giocattolo di Hanukkah. Sarebbe stato più appropriato chiamarla "guerra delle elezioni".

Anche nel passato le azioni militari sono state intraprese durante campagne elettorali.

Menachen Begin bombardò il reattore nucleare iracheno durante la campagna del 1981.

Quando Shimon Peres affermò che si trattava di una trovata elettorale, Begin alzò la voce al comizio seguente: "Ebrei, davvero credete che io potrei mandare i nostri figli coraggiosi alla morte, o, peggio ancora, ad esser fatti prigionieri da degli animali, solo per vincere le elezioni?".

Begin vinse. Ma Peres non è Begin.

Quando, durante la campagna del 1996, ordinò l'invasione del Libano, tutti erano convinti che si trattasse di una trovata elettorale. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e Netanyahu salì al potere.

Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco.

Secondo i sondaggi, la prevista vittoria di Barak gli ha fatto guadagnare 5 seggi della Knesset. Circa 80 morti palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare sui cadaveri.

Il successo potrebbe evaporare in un istante, se la guerra cominciasse a essere considerata un fallimento dall'opinione pubblica israeliana.

Per esempio, se i missili continuano a colpire Beersheba, o se l'attacco di terra porta a un pesante numero di vittime tra gli israeliani.

Un esperimento scientifico Il momento è stato scelto con cura anche da un altro punto di vista. L'attacco è cominciato due giorni dopo Natale, quando i leader americani e europei sono in vacanza. Il calcolo: anche se qualcuno volesse provare a fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle vacanze. Il che ha garantito diversi giorni senza alcuna pressione esterna. Un'altra ragione che rende il momento appropriato: sono gli ultimi giorni della permanenza di Bush alla Casa bianca.

Ci si aspettava che questo idiota assetato di sangue appoggiasse entusiasticamente l'attacco, come in effetti ha fatto.

Barack Obama non ha ancora iniziato il suo incarico, e ha quindi un pretesto per rimanere in silenzio: "C'è un solo presidente". Questo silenzio non fa presagire nulla di buono per il mandato di Obama. La linea fondamentale è stata: non bisogna ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Questo è stato ripetuto incessantemente in ogni notiziario e talk show.

Ma ciò non toglie che la guerra di Gaza sia una replica pressoché identica della seconda guerra del Libano.

Il concetto strategico è lo stesso: terrorizzare la popolazione civile attraverso attacchi aerei costanti, seminando morte e distruzione. I piloti non corrono alcun pericolo, in quanto i palestinesi non hanno una contraerea. Il calcolo: se tutte le infrastrutture che consentono la vita nella Striscia sono letteralmente distrutte, e si arriva quindi alla totale anarchia, la popolazione si solleverà e rovescerà il regime di Hamas.

Abu Mazen rientrerà poi a Gaza al seguito dei carri armati israeliani.

In Libano questo calcolo non ha funzionato. La popolazione bombardata, cristiani inclusi, si è radunata attorno a Hezbollah, e Nashrallah è diventato l'eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile accadrà probabilmente anche questa volta. I generali sono esperti nell'usare le armi e nel muovere le truppe, non nella psicologia di massa.

Qualche tempo fa scrissi che il blocco di Gaza può essere inteso come un esperimento scientifico, mirato a scoprire quanto si può affamare una popolazione prima che scoppi.

Questo esperimento è stato portato avanti con il generoso aiuto dell'Europa e degli Stati uniti. Finora non è riuscito. Hamas è diventato più forte e la gettata dei Qassam più lunga. La presente guerra è una continuazione dell'esperimento con altri mezzi. Potrebbe essere che l'esercito "non abbia alternativa" se non riconquistare la Striscia, perché non c'è altro modo per fermare i Qassam, se non quello - contrario alla politica del governo - di arrivare a un accordo con Hamas. Quando partirà la missione di terra, tutto dipenderà dalla motivazione e dalla capacità dei combattenti di Hamas rispetto ai soldati israeliani.

Nessuno può prevedere quanto accadrà.

Giorno dopo giorno, notte dopo notte, Al Jazeera trasmette immagini atroci: brandelli di corpi mutilati, parenti in lacrime in cerca dei loro cari tra le dozzine di cadaveri, una donna che solleva la sua bambina da sotto le macerie, dottori senza mezzi che cercano di salvare le vite dei feriti. In milioni stanno vedendo queste immagini terribili, giorno dopo giorno. Queste immagini saranno impresse nella loro mente per sempre.

Un'intera generazione coltiva l'odio.

Questo è un prezzo terribile, che saremo costretti a pagare ancora a lungo dopo che gli altri effetti della guerra saranno stati dimenticati in Israele.

Ma c'è un'altra cosa che si sta imprimendo nelle menti di questi milioni: l'immagine dei corrotti e passivi regimi arabi.

Visto dagli arabi, un fatto s'impone su tutti gli altri: il muro della vergogna. Per il milione e mezzo di arabi a Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l'unica apertura al mondo che non sia dominata da Israele è il confine con l'Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo che consente la vita, da lì arrivano i medicinali che salvano i feriti. Al culmine dell'orrore questo confine resta chiuso. L'esercito egiziano ha bloccato l'unica via d'accesso per cibo e medicinali, mentre i chirurghi operano senza anestetici. Per il mondo arabo, da un capo all'altro, hanno fatto eco le parole di Hassan Nashrallah: "I leader egiziani sono complici in questo crimine, stanno collaborando con il "nemico sionista" che cerca di rompere il popolo palestinese".

Si può assumere che non intendesse solo Mubarak, ma anche tutti gli altri leader, dal re saudita al presidente dell'Anp.

Se si guarda alle manifestazioni in tutto il mondo arabo, se si ascoltano gli slogan, se ne deduce l'impressione che i loro leader sono visti da molti come patetici nel migliore dei casi, come meschini collaborazionisti nel peggiore. Questo avrà conseguenze storiche. Un'intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta dell'ideologia nazionalista secolare araba - i successori di Nasser, di Hafez al-Assad e Yasser Arafat- sarà messa fuori scena.

In campo arabo, l'unica alternativa percorribile è l'ideologia del fondamentalismo islamico. Questa guerra è un presagio infelice: Israele sta perdendo l'occasione storica di fare la pace con il nazionalismo arabo secolare. Domani potrebbe essere davanti a un mondo arabo uniformemente fondamentalista, un Hamas mille volte più grande. traduzione di Nicola Vincenzoni

Da “Il Manifesto” di DOMENICA 4 GENNAIO 2009 pagina 16

* Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Uri Avnery (in lingua ebraica: אורי אבנרי, nome originario Helmut Ostermann) (Beckum, 10 settembre 1923) è un giornalista e pacifista israeliano.

Emigrò in Palestina assieme alla famiglia nel 1933 e fu costretto a vivere in condizioni di estrema povertà, nonché ad abbandonare gli studi.

Nel 1938 entrò nell'Irgun, organizzazione di estrema destra comandata da Menachem Begin e responsabile di alcuni attentati terroristici contro l'occupante britannico ma anche contro i nemici arabi. Non condividendo questo secondo orientamento, il giovane lasciò l'Irgun nel 1942.

Fu poi costretto a partecipare alla prima guerra arabo-israeliana e, rimasto ferito due volte, raccontò le atrocità subite dai palestinesi in un libro intitolato "Il rovescio della medaglia". Da questo punto in poi continuerà a battersi per la pace.

Dopo aver lavorato per un breve periodo presso il quotidiano Ha'aretz, fondò una nuova rivista, lo Haolam Haze, che si fece promotore di alcune importanti trattative con i dirigenti palestinesi.

In seguito fondò il movimento pacifista Gush Shalom (in lingua ebraica: גוש שלום, "il blocco della pace"), che ha guidato fino a oggi.

Nel 1982 realizzò un'importante intervista a Yasser Arafat. Più volte boicottato e censurato, Avnery continua ad essere uno dei pacifisti più attivi all'interno dello stato ebraico.

Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Uri_Avnery"

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Intervento dell'ex ministro dell'informazione del governo di unità

nazionale palestinese

di Mustafa Barghouti

Ramallah, 27 dicembre 2008.

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.

Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di

concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la

differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i

bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?

Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in

sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si

chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un

attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa.

La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro

razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato

naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e

d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che

chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le

leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale,

una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati

come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di

Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza

Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della

democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio

della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi

esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere

bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al

fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non

restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza

di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è

un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina,

terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di

Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho

dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno

i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi

processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con

cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo,

trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto -

perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di

distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro

pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi

terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna

azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli

attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina

il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se

Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono

qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite,

gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la

proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del

riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se

non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta,

dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani,

sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora,

l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano

la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco

nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e

smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è

finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana,

al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui,

delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca,

le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti

umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà,

frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E

invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per

noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo

ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava

Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele.

Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello

squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi

è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per

sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per

gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i

lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi

palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a

illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza

soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli

inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto,

sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah

chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo,

questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il

pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia

della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna

autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo

apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche

israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le

definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo

aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che

l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza

dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il

vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì

berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi

cittadini di Gaza?

(testo raccolto da Francesca Borri e pubblicato sul sito www.peacereporter.it)

"Il nuovo libro di Marcello Pera" - di Alessandro Litta Modignani

Il nuovo libro (mistificatorio) dell’ex presidente del Senato

di Alessandro Litta Modignani - da “L’Opinione” del 26 novembre 2008

Chi si rivede: Marcello Pera. L’ex presidente del Senato, completamente emarginato dalla scena politica, torna nelle librerie con un titolo che è tutto un programma: “Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica”. Già di per sé, l’uso imperativo di quel “dobbiamo” suona vagamente minaccioso e tutt’altro che liberale. Pera ambirebbe a parafrasare il celeberrimo saggio di Benedetto Croce e a riallacciarsi alla grande tradizione del liberalismo classico, per meglio liquidare l’uno e l’altra e offrirli in dono, come agnelli sacrificali, all’autore della prefazione, Papa Benedetto XVI. L’operazione è a tal punto scoperta e strumentale da risultare non solo culturalmente inefficace, ma persino un po’ ridicola.

Il pensiero crociano, spiega Pera, non basta più. Dobbiamo spingerci oltre. “Non c’è liberalismo senza Dio”, dunque dobbiamo “alzare la bandiera cristiana” e “coltivare una fede”, oppure “oggi che è diventato anti-cristiano, il liberalismo è senza fondamenti e le sue libertà sono appese nel vuoto”. Perciò anche definirsi “cristiani per cultura”, cioè nel senso generico della civiltà occidentale, non è più adeguato alle sfide del XXI secolo.

In realtà, come ha già notato efficacemente Massimo Teodori in un saggio del 2006 (“Laici – L’imbroglio italiano”) Marcello Pera ha ormai da tempo operato un netto distacco dalla cultura liberale. Egli stesso lo ha riconosciuto: “Il mio liberalismo richiede di essere seriamente e profondamente riparato... La nostra vecchia idea di società libera, o società aperta, non basta più a risolvere i problemi della crisi culturale e spirituale europea... I vecchi concetti di Stato laico, separazione Stato-Chiesa, religione-politica, morale-diritto devono essere ripensati” (convegno “Libertà e laicità”, Fondazione Magna Charta, 15 ottobre 2005). Altro che Benedetto Croce ! E altro che Karl Popper, del quale Pera è stato in anni lontani uno dei massimi studiosi. Non si capisce davvero in virtù di quale astrazione, un personaggio che dice e scrive queste cose, possa pretendere di continuare a definirsi liberale, senza suscitare una crisi di ilarità generale.

Queste teorie neo-temporaliste e neo-clericali di Pera sono a tal punto ingenue, in linea con l’altezzosa presunzione del personaggio, da meritare solo di essere snobbate. Assai più interessante e davvero illuminanti, semmai, sono le due paginette di prefazione che Papa Ratzinger ha vergato di suo pugno, a mo’ di imprimatur. Nell’elogiare il libro, Benedetto XVI scrive: “Ella spiega con grande chiarezza che un dialogo interreligioso, nel senso stretto della parola, non è possibile.... senza mettere fra parentesi la propria fede”. Ma proprio il dialogo interreligioso non era forse stato il più forte elemento innovatore emerso dal Concilio, voluto da Giovanni XXIII e poi realizzato, con molte prudenze, da Paolo VI ? Ecco dunque spiegato il senso profondo dell’operazione politico-culturale del libro. Dopo la “sana” laicità, è l’ora della “giusta interpretazione” del Concilio, cioè l’affossamento di entrambi. “Il liberalismo può collegarsi a una dottrina del bene, in particolare quella cristiana, offrendo così il suo contributo al superamento della crisi”, concede il Papa. Bontà sua. Il liberalismo europeo, fortunatamente, ha spalle abbastanza larghe da non farsi intimidire da questi tentativi di esproprio. Quello italiano, purtroppo, assai meno.

Fondamentalismi che non reggono

di Alessandro Litta Modignani


(pubblicato su "L'Opinione" dell'8 gennaio 2009)


Nella disputa infuocata di questi tempi fra cultura laica e cultura cattolica, cerca di farsi strada a fatica una posizione intermedia, di matrice tollerante e liberale, lontana da manicheismi e giudizi estremi. Se ne fa interprete da ultimo Riccardo Chiaberge, con il bel libro “La variabile Dio” (Rizzoli) in cui mette a confronto l’astronomo cattolico padre George Coyne e il laico Arno Penzias, il premio Nobel scopritore del Big Bang. Ne scaturisce una lettura piacevolissima, interessante e istruttiva, libera per quanto possibile da pregiudizi. Nel capitolo finale Chiaberge cerca di approdare a una sintesi accettabile per tutti, circa il conflitto fra scienza e fede. L’autore difende nettamente la liberta di ricerca da qualsiasi condizionamento, specie di matrice religiosa ed ecclesiastica. Al contempo, però, prende le distanze da certe punte di ateismo estremista e un po’ isterico alla Richard Dawkins o, in Italia, alla Piergiorgio Odifreddi. Chiaberge auspica un “disarmo bilaterale” e un atteggiamento di grande apertura da entrambe le parti, contro “i peggiori istinti clericali e anticlericali”. Presupposto per questo dialogo è “condividere il senso del limite”, che l’autore identifica nella regola “socratica e popperiana: io so di non sapere”.

Un’operazione analoga viene proposta anche da Dario Antiseri e Giulio Giorello, con il libro “Libertà – Un manifesto per credenti e non credenti” (Bompiani). I due filosofi – il primo cattolico, il secondo ateo, entrambi di matrice liberale – parlano di pluralismo, si oppongono all’assolutismo e a qualsiasi pretesa di verità, propongono la laicità come “terreno comune” per il confronto fra laici e cattolici, credenti e non credenti, sui temi della scienza, della fede, della Chiesa e della libertà dell’individuo. Infine, qualche settimana fa sul Corriere della Sera, Claudio Magris si scaglia contro ogni tipo di fondamentalismo, “poco importa se trionfalmente ateistico o trionfalmente bigotto”. In fondo Benedetto XVI condanna il relativismo sul piano etico, ma ne riconosce la validità sul piano politico, come fondamento della democrazia, osserva Magris. Dunque un confronto sarebbe possibile, anzi auspicabile, contro gli “opposti fondamentalismi”.

Queste osservazioni, apparentemente condivisibili e piene di saggezza, si scontrano tuttavia con il fatto che, dall’altra parte del Tevere, le gerarchie vaticane non sono affatto disponibili al compromesso. Esse hanno altre mire e ben altri progetti.

Nell’inaugurare l’estate scorsa il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, il cardinale Bagnasco lo ha detto abbastanza chiaramente: noi non dobbiamo accettare l’idea di essere tollerati, perché siamo portatori di Verità. Ci viene richiesto di continuo di mettere da parte la nostra Fede, ma noi non possiamo e non intendiamo rinunciarvi. Il cristianesimo non è un punto di passaggio nella storia, ma è la Storia stessa. In altre parole, la Chiesa cattolica esige il suo primato e non ammette che la fede venga considerata un’opinione fra le tante; non è più disposta ad accettare la distinzione fra peccato e reato, fondamento dello Stato laico e di diritto; non si riconosce neanche più nel pensiero crociano: “non possiamo non dirci cristiani” è riduttivo e pericoloso. “Dobbiamo dirci cristiani” è infatti il titolo perentorio dell’ultimo libro di Marcello Pera, dove si spiega che “non c’è liberalismo senza Dio”, con l’entusiastica prefazione di Benedetto XVI.

Altro che “disarmo bilaterale”; altro che Socrate e Popper: gli avversari della cultura laica non intendono “condividere” alcun senso del limite. E’ gravemente illusorio proporre a costoro “la laicità come terreno comune di confronto”, basta saper leggere le parole di Bagnasco. L’atteggiamento aperto e conciliante dei Chiaberge, degli Antiseri, dei Magris manifesta sicuramente una grande tolleranza, ma si scontra inevitabilmente con una controparte assai più aggressiva e minacciosa, non disposta a scendere a patti. In questo senso, esso rischia di costituire la pericolosa sottovalutazione di uno dei più potenti nemici della società aperta.

lunedì 13 ottobre 2008

NO AL LODO ALFANO

18 Novembre ‘08 h: 11.00
BUSTO ARSIZIO
PARTENZA: Piazza San Giovanni
ARRIVO: Palazzo di Giustizia (Tribunale)

Si terrà un corteo in occasione della presenza del Ministro della Giustizia Angelino Alfano.

Art. 3 Costituzione Italiana:
Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge

Il Lodo Alfano garantisce l’immunità alle quattro più alte cariche dello Stato (Pres. della Repubblica, Pres. del Consiglio, Pres. del Senato, Pres. della Camera).

Tutti i cittadini sono invitati a partecipare per manifestare il proprio dissenso nei confronti di una legge che distrugge uno dei cardini principali della Costituzione italiana.

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