Da “L’Opinione” del 22 ottobre 2008
Il petrolio può far riconciliare turchi e armeni
di Alessandro Litta Modignani
Il processo di riavvicinamento fra Turchia e Armenia sta attraversando un’improvvisa fase di accelerazione. Se è vero che “90 minuti di calcio non possono cancellare 90 anni di odio”, come ha facilmente osservato qualcuno, è anche certo che grazie alla “diplomazia del pallone” si stanno aprendo scenari inediti, inimmaginabili fino a pochi mesi fa.
L’incontro fra le nazionali di calcio dei due paesi, il 7 settembre scorso, ha portato alla storica prima visita a Erevan del presidente turco Abdullah Gul. Le manifestazioni di protesta e qualche fischio allo stadio non hanno alterato il clima amichevole dell’evento, né il suo significato politico.
Il dialogo fra i due paesi, preparato da incontri diplomatici “segreti” (ma neanche tanto) in Svizzera, potrebbe portare, già entro la fine di quest’anno, a un’intesa fra l’Armenia e l’Azerbaidjan per la questione del Nagorno-Karabakh, la regione del Caucaso meridionale abitata in prevalenza da armeni, che Stalin volle attribuire all’Azerbaidjan e tornata adesso sotto controllo armeno, dopo i furibondi scontri dei primi anni ‘90.
Il 26 settembre delegati turchi, azeri e armeni si sono incontrati a New York. Crescono le voci che Ankara e Baku offrano all’Armenia di partecipare al progetto dell’oleodotto Nabucco, che dovrebbe portare il petrolio dal Mar Caspio fino a Vienna, in cambio di una soluzione del contenzioso. L’Armenia sinora si è battuta per l’indipendenza della regione, che considera carne della sua carne; i mediatori propongono di cessare il conflitto e rinviare la soluzione definitiva a un futuro referendum. La Turchia ripete che l’Armenia deve sgombrare al più presto i territori occupati dal ’94, ma Gul ha aggiunto di recente che “questo permetterebbe anche una proficua collaborazione economica nella regione”.
In questa direzione preme l’Unione europea, interessata al progetto Nabucco che porterebbe il petrolio dall’Asia centrale nel cuore del vecchio continente, bypassando il territorio russo. Anche gli Stati Uniti si sono attivati: il vice-presidente Dick Cheney è stato a Baku per una visita-lampo, il mese scorso. Mosca non vede certo di buon occhio l’iniziativa, che avvicinerebbe l’Armenia all’occidente. Proprio il timore di una “prospettiva georgiana”, però, potrebbe indurre le parti a un compromesso: quel “Patto per la stabilità e la cooperazione nel Caucaso”, auspicato dalla Turchia, che favorirebbe le economie di tutta l’area. Attualmente le frontiere turco-armene sono chiuse e l’interscambio commerciale avviene attraverso paesi terzi. Secondo alcuni osservatori, un accordo potrebbe arrivare presto, dopo le “elezioni” in Azerbaidjan di mercoledì scorso, che hanno visto la scontata riconferma dell’attuale presidente Ilham Aliyev con quasi il 90% dei voti.
Anche in questo quadro ottimistico, fra Turchia e Armenia resterebbe comunque da sciogliere il nodo storico, cioè il riconoscimento del genocidio del 1915, sempre negato da Ankara. Molta acqua dovrà passare sotto i ponti, prima che i turchi chiedano scusa e gli armeni arrivino a perdonare. Però fra un anno, il 14 ottobre 2009, ci sarà la partita di ritorno in Turchia e forse vedremo per la prima volta un presidente armeno ospite nella terra che vide il suo popolo sterminato. L’interesse reciproco potrebbe indurre turchi e armeni a una storica pace.
giovedì 2 ottobre 2008
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