di Alessandro Litta Modignani
(pubblicato su "L'Opinione" dell'8 gennaio 2009)
Nella disputa infuocata di questi tempi fra cultura laica e cultura cattolica, cerca di farsi strada a fatica una posizione intermedia, di matrice tollerante e liberale, lontana da manicheismi e giudizi estremi. Se ne fa interprete da ultimo Riccardo Chiaberge, con il bel libro “La variabile Dio” (Rizzoli) in cui mette a confronto l’astronomo cattolico padre George Coyne e il laico Arno Penzias, il premio Nobel scopritore del Big Bang. Ne scaturisce una lettura piacevolissima, interessante e istruttiva, libera per quanto possibile da pregiudizi. Nel capitolo finale Chiaberge cerca di approdare a una sintesi accettabile per tutti, circa il conflitto fra scienza e fede. L’autore difende nettamente la liberta di ricerca da qualsiasi condizionamento, specie di matrice religiosa ed ecclesiastica. Al contempo, però, prende le distanze da certe punte di ateismo estremista e un po’ isterico alla Richard Dawkins o, in Italia, alla Piergiorgio Odifreddi. Chiaberge auspica un “disarmo bilaterale” e un atteggiamento di grande apertura da entrambe le parti, contro “i peggiori istinti clericali e anticlericali”. Presupposto per questo dialogo è “condividere il senso del limite”, che l’autore identifica nella regola “socratica e popperiana: io so di non sapere”.
Un’operazione analoga viene proposta anche da Dario Antiseri e Giulio Giorello, con il libro “Libertà – Un manifesto per credenti e non credenti” (Bompiani). I due filosofi – il primo cattolico, il secondo ateo, entrambi di matrice liberale – parlano di pluralismo, si oppongono all’assolutismo e a qualsiasi pretesa di verità, propongono la laicità come “terreno comune” per il confronto fra laici e cattolici, credenti e non credenti, sui temi della scienza, della fede, della Chiesa e della libertà dell’individuo. Infine, qualche settimana fa sul Corriere della Sera, Claudio Magris si scaglia contro ogni tipo di fondamentalismo, “poco importa se trionfalmente ateistico o trionfalmente bigotto”. In fondo Benedetto XVI condanna il relativismo sul piano etico, ma ne riconosce la validità sul piano politico, come fondamento della democrazia, osserva Magris. Dunque un confronto sarebbe possibile, anzi auspicabile, contro gli “opposti fondamentalismi”.
Queste osservazioni, apparentemente condivisibili e piene di saggezza, si scontrano tuttavia con il fatto che, dall’altra parte del Tevere, le gerarchie vaticane non sono affatto disponibili al compromesso. Esse hanno altre mire e ben altri progetti.
Nell’inaugurare l’estate scorsa il meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, il cardinale Bagnasco lo ha detto abbastanza chiaramente: noi non dobbiamo accettare l’idea di essere tollerati, perché siamo portatori di Verità. Ci viene richiesto di continuo di mettere da parte la nostra Fede, ma noi non possiamo e non intendiamo rinunciarvi. Il cristianesimo non è un punto di passaggio nella storia, ma è la Storia stessa. In altre parole, la Chiesa cattolica esige il suo primato e non ammette che la fede venga considerata un’opinione fra le tante; non è più disposta ad accettare la distinzione fra peccato e reato, fondamento dello Stato laico e di diritto; non si riconosce neanche più nel pensiero crociano: “non possiamo non dirci cristiani” è riduttivo e pericoloso. “Dobbiamo dirci cristiani” è infatti il titolo perentorio dell’ultimo libro di Marcello Pera, dove si spiega che “non c’è liberalismo senza Dio”, con l’entusiastica prefazione di Benedetto XVI.
Altro che “disarmo bilaterale”; altro che Socrate e Popper: gli avversari della cultura laica non intendono “condividere” alcun senso del limite. E’ gravemente illusorio proporre a costoro “la laicità come terreno comune di confronto”, basta saper leggere le parole di Bagnasco. L’atteggiamento aperto e conciliante dei Chiaberge, degli Antiseri, dei Magris manifesta sicuramente una grande tolleranza, ma si scontra inevitabilmente con una controparte assai più aggressiva e minacciosa, non disposta a scendere a patti. In questo senso, esso rischia di costituire la pericolosa sottovalutazione di uno dei più potenti nemici della società aperta.
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