sabato 18 ottobre 2008

Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

Intervento dell'ex ministro dell'informazione del governo di unità

nazionale palestinese

di Mustafa Barghouti

Ramallah, 27 dicembre 2008.

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.

Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di

concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la

differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i

bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?

Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in

sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si

chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un

attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa.

La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro

razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato

naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e

d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che

chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le

leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale,

una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati

come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di

Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza

Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della

democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio

della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi

esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere

bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al

fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non

restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza

di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è

un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina,

terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di

Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho

dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno

i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi

processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con

cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo,

trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto -

perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di

distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro

pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi

terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna

azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli

attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina

il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se

Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono

qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite,

gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la

proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del

riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se

non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta,

dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani,

sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora,

l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano

la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco

nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e

smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è

finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana,

al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui,

delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca,

le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti

umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà,

frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E

invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per

noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo

ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava

Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele.

Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello

squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi

è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per

sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per

gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i

lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi

palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a

illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza

soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli

inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto,

sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah

chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo,

questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il

pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia

della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna

autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo

apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche

israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le

definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo

aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che

l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza

dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il

vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì

berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi

cittadini di Gaza?

(testo raccolto da Francesca Borri e pubblicato sul sito www.peacereporter.it)

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