C’era una volta … un isola deserta lontana da tutte le rotte, bellissima, verdeggiante, ricca di acque pure e di ogni risorsa naturale, un isola che non c’è sulle carte nautiche. Durante una violenta tempesta una grande nave da crociera subì un’improvvisa avaria agli impianti di bordo, e in pochi minuti naufragò sulle sue scogliere, senza che fosse possibile fare nulla, neppure lanciare un SOS. Miracolosamente un migliaio tra passeggeri e membri d’equipaggio riuscirono a salvarsi raggiungendo la spiaggia più vicina.
Essendo il primo maggio la battezzarono “Isola del Lavoro”, anche perché si resero subito conto di doversi arrangiare da soli negli anni a venire.
Decisero subito in assemblea plenaria di darsi un governo democratico, dichiarandosi Stato sovrano, inizialmente proprietario di tutta l’isola e del suo mare (demanio pubblico). Nella divisione dei compiti affidarono la gestione della nascente banca unica, detta “Banca Nazionale del Lavoro” abbreviato BNL, a due fratelli ginevrini esperti del ramo, i fratelli Lemani.
Questa banca nascente non possedeva alcun patrimonio, come del resto tutti gli altri naufraghi, ma si fece una colletta per dotarla di carta e penna, oltre a qualche ciondolino d’oro e altri gadget fortunosamente conservati dopo il naufragio, così, come riserva simbolica di garanzia per i crediti nella nuova valuta, subito battezzata “Espero” su proposta di una giovane coppia spagnola in attesa del loro primo figlio, che sarebbe stato anche il primo lavorino autoctono.
Era importante che la banca si attivasse subito, per consentire l’avviamento dei primi scambi commerciali, emettendo moneta, anche perché lo Stato lavorino aveva urgente bisogno di riscuotere le tasse per finanziare opere pubbliche essenziali: strade, scuola, ospedale e via dicendo.
Detto fatto, i fratelli Lemani cominciarono a scrivere biglietti di banca, a mo’ di ricevuta di un loro debito verso la comunità, da consegnare a chiunque ne facesse motivata richiesta, garantendone la restituzione con un minimo interesse aggiunto. La contabilità di questi movimenti era il punto di forza di questi due infaticabili professionisti, ai quali non sfuggiva nulla e non facevano quasi mai errori contabili; in questo la fiducia di tutti i lavorini era davvero ben riposta.
Stabilito un semplice ed efficace sistema fiscale, messo a punto dal ministro delle finanze democraticamente eletto, il generoso Sig. Tramonti, presto le casse dello stato si riempirono di migliaia di nuovi “esperi”. La gestione del Tesoro venne affidata ad un nobile cugino inglese dei fratelli Lemani, di chiara ed indiscussa fama, detto Drago. Con questo denaro si poteva finalmente avviare la macchina statale. Si riuscì perfino ad assumere centinaia di impiegati pubblici dedicati alle più svariate mansioni, produttive e amministrative.
Col tempo i lavorini più intraprendenti costituirono fiorenti aziende d’ogni sorta, grazie al credito bancario. Alcune di queste aziende, una volta consolidate, rilevarono le attività produttive pubbliche, rendendole più efficienti, tant’è che i dipendenti pubblici si ridussero ai soli amministrativi ed agli insegnanti. Era iniziato così il periodo delle privatizzazioni, che gradualmente interessarono anche terreni, fabbricati, infrastrutture a pagamento, e perfino la banca. In breve tutti i servizi pubblici vennero regolarmente appaltati ad imprese private, con grande giovamento del rapporto qualità/prezzo per il contribuente-utente. Però lo Stato doveva chiedere spesso alla banca altri soldi in prestito, per riuscire a garantire i gravosi servizi ai cittadini e realizzare nuove infrastrutture, indispensabili alle nuove aziende private, indebitandosi così sempre più e chiedendo sempre più tasse ai lavorini, anche per pagare gli accresciuti interessi sul debito pubblico. La popolazione accolse i cambiamenti con rassegnata speranza in un futuro migliore, confermando la fiducia nei propri rappresentanti meno-peggio.
Ma per stare tutti meglio occorreva lavorare molto, sempre di più, e far circolare sempre più soldi, che passavano di mano in mano, per finire prima o poi nella cassaforte dei fratelli Lemani, come rata di un qualche mutuo privato o tassa sul debito pubblico. Ad un certo punto le imprese private, Banca compresa, decisero di capitalizzarsi meglio emettendo azioni ed obbligazioni proprie, che i più avveduti lavorini acquistarono con gli “esperi” faticosamente guadagnati e risparmiati. Inutile dire che i più importanti imprenditori si trovarono in cassa fin troppi soldi per le esigenze correnti, così che la plusvalenza la investirono nel debito pubblico e nella stessa BNL, come deposito fruttifero e/o quote azionarie, divenendone così comproprietari coi fratelli Lemani. Questi a loro volta acquistarono azioni delle varie imprese per conto della BNL & Soci.
…. E la casta fù …. assieme al mercato finanziario, il nuovo centro d’interesse degli operatori economici. La loro insaziabile avidità speculativa fece esplodere l’offerta di nuovi prodotti finanziari, fatti di scommesse d’ogni sorta sull’andamento della sottostante economia produttiva. Ovviamente questi nuovi investimenti stimolavano ed assorbivano ulteriori espansioni di liquidità erogata dalla BNL.
Nell’isola intanto la vita diventava sempre più cara, ma gli stipendi non crescevano in proporzione, giustamente, per non esacerbare ulteriormente l’odiata inflazione ringalluzzendo troppo la capacità di spesa dei cittadini. Stato e cittadini accumularono comunque debiti enormi, che crescevano anche per riuscire a pagare almeno gli interessi, il male minore. Ma se la contabilità era corretta, essendo quello monetario un gioco a somma zero, a tutto quel debito diffuso doveva corrispondere un pari credito, però tutto concentrato in mano dei fratelli Lemani & soci, ormai proprietari di terreni, fabbricati, grandi aziende, infrastrutture, flotta, giornali, ecc. Perciò le notizie arrivavano solo da giornalisti pagati dalla casta, e si capiva che erano alquanto ambigue e tendenziose, fatte apposta per spaccare in due l’assemblea dei rappresentanti del popolo, che sembrava non voler capire la situazione, litigando su tutto tranne che sulla proprietà degli “esperi”. Gli “esperi” è chiaro che son sempre stati tutti di proprietà della BNL che li ha emessi, e col tempo ritornano alla BNL. Date a Cesare quel che è di Cesare, e sentitevi onorati dalla sua magnanimità che vi consente di poter lavorare ancora per lui, nonostante la vostra miseria. In fondo la gente questo lo avvertiva, ma era come se non volesse accettarlo, neanche saperlo, nascondendo la testa sotto la sabbia, ognuno per conto suo. Così per distrarla ed alleviare questa angosciosa rimozione fu costruito un grande stadio, dove ogni domenica si fronteggiavano le due squadre antagoniste, i bianconeri e i rossoverdi, e lì popolo e casta diventavano un’unica comunità esultante che si amava e rispettava.
Che sportivi i lavorini!
Cominciarono i primi vandalismi e le prime violenze senza un perché. La prima crisi di crescita era vicina.
Seguirono altri cicli economici fatti di boom seguito da crisi, ed ogni volta la BNL aggiustava il tasso di riferimento in funzione “anticiclica”, ma con risultati sempre più deludenti. L’unico effetto evidente era l’espansione a ondate della massa monetaria emessa, la cosiddetta liquidità circolante, anche se non sempre a dire il vero la si “vedeva” circolare nell’isola. Infatti questa nuova liquidità in “esperi” andava a finire quasi tutta dalla stessa parte, nel mercato dei prodotti finanziari, aumentando il divario tra popolazione debitrice e casta creditrice, nonostante molti beni di famiglie impoverite fossero già stati venduti dai cittadini disperati, per far fronte alle necessità primarie, ovviamente a prezzi di realizzo. Per fortuna i nuovi proprietari riuscivano prontamente a rivalutarli, restituendoli ai veri valori di mercato, il loro mercato.
Purtroppo però anche l’isola e il mare circostante davano segni sempre più marcati di sofferenza, di eccessivo sfruttamento e di degrado ambientale, che rischiava d’inceppare il trend di sviluppo produttivo. Qualche stupido diceva “si stava meglio quando si stava peggio”, ma per fortuna qualche saggio esortava al senso di responsabilità, temendo per le sorti dell’economia che sfamava tutti.
All’ennesima crisi economica, sempre più profonda, i ricchi risparmiatori cominciarono a ritirare i loro crediti dalle scommesse, ma questa volta accadde il peggio. Su voci incontrollate s’incrinò la fiducia nella banca, e le voci ebbero un’agghiacciante conferma: non c’era più alcuna liquidità nelle casse della banca, i fratelli Lemani, rosi dal rimorso e dalla vergogna, erano fuggiti da giorni in barca a vela senza lasciare traccia, portandosi via i libri contabili per affondarli nelle profondità dell’oceano. Panico, gli imprenditori volevano fuggire a loro volta, ma la folla inferocita li bloccò. Fortunatamente le guardie fecero appena in tempo a portarli al sicuro in prigione, in attesa di giudizio. Nel caos che seguì qualcuno prese la parola per calmare gli animi.
“Calma gente, non tutto il male vien per nuocere. Senza la paura della povertà che progressivamente ci ha oppresso non avremmo costruito così in fretta strade, ponti, villaggi e aziende. Ora c’è anche troppo di quello che non serve e troppo poco di quanto invece occorre per vivere tutti insieme, serenamente, in un’economia sviluppata nella qualità del bene primario, l’ambiente in cui viviamo e dal quale proviene tutto il nutrimento materiale e spirituale che ci occorre. Bisognerà lavorare ancora molto, ma in letizia, prima per riparare i danni e poi per sviluppare senza limite la capacità d’amare i nostri simili e l’universo intero, come un’unica entità di cui facciamo parte durante questo viaggio, iniziato con un naufragio ma che può proseguire alla ricerca di noi stessi con spirito rafforzato e più maturo. Per evitare altri guai potremo conservare gran parte delle nostre abitudini, come ad esempio un economia a base monetaria, ma questa volta l’emittente della nuova valuta, che chiameremo “equo”, saremo tutti noi, che formiamo il vero Stato, rappresentato da Istituzioni pubbliche trasparenti e partecipate, fatte per realizzare e custodire il vero bene comune. Non dovremo più preoccuparci singolarmente ed egoisticamente delle avversità della vita, ma solo di contribuire con sincera passione al bene comune riconosciuto come bene proprio, potendo esprimere finalmente le nostre migliori capacità, perché faremo leggi di stato che proteggono la dignità umana in ogni circostanza, basate sui principi guida di solidarietà, giustizia, fratellanza e rispetto universale.
Solo così possiamo trovare il vero senso della libertà in questo nostro bellissimo viaggio nel mondo”.
E vissero felici e contenti ….
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento